03/03/14

Retorica della reclusione. Quei racconti imprigionati

Carcere e letteratura, binomio niente affatto bizzarro. Basti pensare a quante pagine d’autore si sono sprigionate in prigione. Da quel luogo che, proprio in ragione di uno stato di cattività, può costringere alla riflessione, a liberare i pensieri, il sogno, il desiderio di riscatto, la poesia. E tutto ciò scriverlo. Così hanno fatto personaggi diversi, trovatisi galeotti per motivi variamente (ig)nobili. Il patriota carbonaro Silvio Pellico provò a sublimare le angustie dello Spielberg dicendo: “Un giorno è presto passato, e quando la sera uno si mette a letto senza fame e senza acuti dolori, che importa se quel letto è piuttosto fra mura che si chiamino prigione, o fra mura che si chiamino casa o palazzo?” Contento lui! Paul Verlaine quasi (molto quasi) omicida per un amore gay compose in cella splendidi versi e cominciò a porsi il problema che Dio poteva essere bestemmiato ma anche pregato con risultati letterari di pari effetto. Jean Genet, abituale frequentatore di mignotte con il vizio di rubare nei grandi magazzini, diventò scrittore grazie alla galera. E ancora il marchese de Sade che, coerente con la sua fissa, scrisse in carcere il romanzo erotico Justine ovvero le disavventure della virtù, perfezionando la sua teoria su come la purezza sia capace di risvegliare le perversioni umane e di come questa non favorisca le speranze del virtuoso. Fino a Céline che nelle sue Lettres de prison alterna invettiva, burla, lirismi per dirsi vittima di una persecuzione (“Questa frenesia di farmi soffrire è cosmica, è atomica!”). Nei molti racconti della prigionia la retorica, certi topoi vanno quasi a produrre una ‘mistica’ della reclusione (del resto anche un monaco se ne sta in cella), secondo cui trovarsi in quello stato di a-temporalità e di costrizione fisica, rappresenterebbe l’opportunità per liberare l’anima, il vagheggiamento, le aspirazioni. Ciò che è ‘dentro’ quelle mura diviene così categoria dello spirito. Naturalmente stiamo parlando di letteratura. E letterario, ma rivelatore di grandi verità, è un intenso romanzo di ambientazione carceraria, Le menzogne della notte di Gesualdo Bufalino (Bompiani, premio Strega 1988). Su un’isola penitenziaria, la notte che precede l’esecuzione della loro condanna a morte, quattro carcerati raccontano le loro esistenze tra bugia e verità, ammissioni di colpa e giustificazioni, amori e tradimenti, infimo e sublime. Nell’imminenza della morte si reinventano la vita. Come se quel racconto potesse davvero allontanarli (salvarli) dall’alba che baluginerà sulla ghigliottina. Potenza della narrazione e delle introspezioni a cui essa obbliga.

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